I
La funzione e la disciplina dell’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario
All’apertura della successione ereditaria - al momento cioè della morte di una persona (art. 456 c.c.) - si determina quel fenomeno di delazione dell’eredità (art. 457 c.c.) che, se accettata, comporta la confusione del patrimonio dell’erede con quello del defunto. Non vi è soluzione di continuità e la condizione del defunto prosegue nell’erede che, così come può trovarsi arricchito dal patrimonio e dai crediti del defunto, ne eredita però anche le passività e i debiti.
Fino all’accettazione dell’eredità (espressa o tacita) - e ferma sempre la possibilità di rinuncia all’eredità (art. 519 ss c.c.) - questa confusione non si determina, nonostante che al chiamato siano attribuiti il potere di esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari e quello di compiere gli altri atti conservativi indicati nell’art. 460 del codice civile. La confusione consegue all’accettazione dell’eredità la cui efficacia retroagisce al momento nel quale la successione si è aperta (art. 459 c.c.).
Salvo quanto si dirà in caso di eredità devolute a minori o altri incapaci (art. 471 e 472 c.c.) ovvero a persone giuridiche o enti non aventi natura societaria (art. 473 c.c.), in cui non c’è possibilità di scelta, il codice civile prevede la facoltà per il chiamato di accettare l’eredità con una modalità che gli consente di non correre il rischio di dover rispondere dei debiti del defunto; la percezione di questi rischi potrebbe, infatti, portare il chiamato alla decisione di non accettare l’eredità nel timore di dover soddisfare crediti altrui inaspettati. Questa modalità per certi versi cautelativa di accettazione è, appunto, l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario (art. 470 c.c.) il cui effetto consiste nel neutralizzare la confusione dei patrimoni e cioè “nel tener distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede” (art. 490 c.c.) con la conseguenza principale – sempre indicata nella medesima norma – che l’erede non sarà obbligato al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti (ultra vires). La giurisprudenza ha chiarito anzi che l’erede in caso di eredità beneficiata risponde dei debiti ereditari non solo intra vires ma esclusivamente con i beni ereditari (cum viribus hereditatis) (Cass. civ. Sez. II, 29 dicembre 2016, n. 27364) ed anche per gli oneri modali e più in generale, per tutti i pesi ereditari posti a carico dell’erede (Cass. civ. Sez. II, 29 aprile 1993, n. 5067).
La limitazione della responsabilità dell’erede per i debiti ereditari, derivante dall’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, è rilevabile d’ufficio (Cass. civ. Sez. Unite, 7 maggio 2013, n. 10531) e opponibile a qualsiasi creditore ivi compreso naturalmente l’erario (Cass. civ. Sez. V, 24 febbraio 2017, n. 4788; Cass. civ. Sez. V, 7 dicembre 2016, n. 25150; Cass. civ. Sez. V, 11 novembre 2016, n. 23019; Cass. civ. Sez. VI, 15 luglio 2015, n. 14847; Cass. civ. Sez. V, 11 febbraio 2011, n. 3349; Cass. civ. Sez. V , 24 ottobre 2008, n. 25670; Cass. civ. Sez. V, 21 febbraio 2008, n. 4419; Cass. civ. Sez. Unite, 10 dicembre 1984, n. 6478). Pertanto l’erede che abbia accettato l’eredità con beneficio d’inventario è sì tenuto a corrispondere le imposte successorie, ma solo nei limiti di quanto gli perviene dall’asse ereditario (Cass. civ. Sez. V, 16 dicembre 2016, n. 26047; Cass. civ. Sez. V, 28 maggio 2008, n. 13906; Cass. civ. Sez. V, 19 marzo 2007, n. 6488; Trib. Bassano del Grappa, 5 ottobre 2011, App. Milano, 30 novembre 1999) ed è legittima, quindi, la notifica all’erede dell’avviso di liquidazione contenente l’imposta da corrispondere (Commiss. Trib. Centr. Sez. XIX, 19 settembre 1996, n. 4527). Bisogna però fare attenzione in quanto in caso di avviso di accertamento e di liquidazione dell’imposta, l'erede che abbia accettato con beneficio d'inventario deve far valere il vizio proprio dell'atto impositivo con l'impugnazione dell'avviso di accertamento o di liquidazione, non potendo più eccepire, nel giudizio avente ad oggetto la cartella di pagamento, la sua ridotta responsabilità derivante dall'accettazione beneficiata, attesa la preclusione connessa alla definitività dell'atto impositivo non impugnato (Cass. civ. Sez. V, 11 novembre 2015, n. 23061). Spetta alle commissioni tributarie conoscere dell’impugnazione dell’avviso di liquidazione (Cass. civ. Sez. Unite, 15 aprile 2005, n. 7792).
Il principio vale anche nel caso in cui si formi un qualunque giudicato sul debito tributario senza che nel relativo giudizio sia stato dedotto, né rilevato d'ufficio, che l'eredità è stata accettata con beneficio d'inventario (Cass. civ. Sez. III, 9 aprile 2015, n. 7090).
Quindi l’erede non dovrà rispondere mai con il proprio patrimonio per i debiti, anche fiscali, che erano del defunto (e che sono entrati a far parte dell’eredità) e potrebbe anzi rilasciare in favore dei creditori ereditari tutti i beni ereditari (art. 507 c.c.) liberandosi dall’onere di amministrare e liquidare le attività ereditarie. In caso di rilascio dei beni ereditari in favore dei creditori e dei legatari l’amministrazione finanziaria può controllare le operazioni della procedura, notificando l’avviso di liquidazione, oltre che all’erede, anche al curatore il quale è legittimato ad impugnarlo, in qualità di assegnatario ed amministratore dell’eredità medesima, risultando inutiliter data una sentenza eventualmente pronunciata in assenza di uno dei predetti soggetti (Cass. civ. Sez. V Sent., 21 febbraio 2008, n. 4419; Trib. Benevento, 19 febbraio 2010).
Anche lo Stato, cui è devoluta di diritto l’eredità in mancanza di altri successibili (art. 586, primo comma, c.c.) “non risponde dei debiti ereditari e dei legati, oltre il valore dei beni acquistati” (art. 586, secondo comma, c.c.), trovandosi perciò nella identica situazione del chiamato che accetta con beneficio d’inventario.
La ratio di questo meccanismo sembra essere quella di “incoraggiare” l’accettazione dell’eredità nell’interesse generale dell’ordinamento alla continuazione dei rapporti giuridici nel rispetto, però, della legittima aspettativa dell’erede a non dover incorrere nell’obbligo di pagare con beni propri i debiti insoddisfatti in vita dal defunto. L’erede dovrà pagare anche i debiti, quindi, ma sono quelli coperti dal valore dei beni ereditari.
Di particolare interesse è la diposizione di cui all’art. 510 c.c. secondo la quale la redazione dell’inventario da parte di uno dei coeredi giova anche agli altri che non siano accettanti puri e semplici. Il che significa anche che gli altri coeredi non devono compiere le formalità prescritte (quindi non dovranno fare l’inventario). Pertanto non assume rilievo il fatto che gli altri chiamati abbiano accettato l’eredità successivamente, in quanto la loro ammissione al beneficio si era già verificata come effetto della prima dichiarazione (Trib. Lamezia Terme, 26 maggio 2000). La giurisprudenza ha anche precisato – del tutto ragionevolmente - che questa estensione del beneficio a chi non ha ancora accettato non giova a quelli che siano divenuti eredi per essere decaduti dalla facoltà di accettare con beneficio di inventario, non potendo la redazione dell’inventario attribuire agli altri coeredi una posizione giuridica che essi non siano più in grado di acquistare (Cass. civ. Sez. V, 10 maggio 2013, n. 11150; Cass. civ. Sez. II, 19 luglio 1993, n. 8034). Non condivisibile si presenta una lontana decisione secondo la quale l’accettazione d’eredità con beneficio di inventario fatta da uno dei chiamati non determinerebbe l’acquisto della qualità di erede, seppur beneficiato, in capo agli altri, non potendosi prescindere da un loro atto di accettazione (Cass. civ. Sez. II, 19 marzo 1999, n. 2532). Viceversa è stato in proposito sostenuto che in base al disposto dell’art. 510 cod. civ., a norma del quale la redazione dell’inventario da parte di uno dei coeredi giova anche agli altri che non siano accettanti puri e semplici, la volontà di giovarsi di tale forma di accettazione, sebbene debba essere espressa in forma chiara ed univoca, non esige le forme indicate dall’art. 484 codice civile poiché, se in ogni caso fosse necessaria l’accettazione formale, nessun giovamento deriverebbe dall’accettazione dell’altro chiamato (Cass. civ. Sez. lavoro, 4 settembre 2008, n. 22286).
L’accettazione con beneficio d’inventario imprime all’eredità la sua specifica configurazione in modo permanente. Poiché infatti l’erede subentra nei rapporti attivi e passivi del de cuius con gli stessi poteri e con gli stessi limiti o vincoli di quest’ultimo, nel caso in cui nel patrimonio del de cuius vi siano beni di una eredità da questo accettata con beneficio di inventario, il regime giuridico al quale questi beni sono stati assoggettati (art. 490 e ss. c.c.) in seguito a questa accettazione non cessa a causa della successiva delazione neppure quando la relativa eredità sia stata accettata puramente e semplicemente (Cass. civ. Sez. II, 5 ottobre 1993, n. 9842).
In giurisprudenza si è precisato – mettendo a fuoco un profilo molto pertinente di teoria generale – che il chiamato che ha accettato l’eredità con beneficio d’inventario è un vero e proprio erede e subentra, perciò, a pieno titolo anche nei debiti del de cuius con l’unica particolarità che il suo patrimonio è tenuto distinto dal patrimonio del defunto (Cass. civ. Sez. V, 11 novembre 2016, n. 23019; Cass. civ. sez. V, 20 dicembre 2001, n. 16046). Questa precisazione si trova anche in dottrina dove si è detto che l’effetto dell’accettazione è sempre l’attribuzione della qualità di erede (l’erede è successore in tutti i rapporti, anche passivi del defunto) mentre la modalità prescelta (il beneficio d’inventario) determina una limitazione di responsabilità in deroga al principio genere secondo cui il debitore risponde con tutti i suoi beni (art. 2470 c.c.). La precisazione è, si ripete, pertinente perché rende palese la motivazione per cui, anche nel caso di accettazione con beneficio di inventario, i beni del defunto in esubero rispetto alla loro destinazione alla soddisfazione dei creditori del defunto, restano di piena proprietà dell’erede. L’erede infatti “non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni a lui pervenuti” ma, una volta soddisfatti i creditori dell’eredità [in sostanza i creditori del defunto contrapposti ai creditori dell’erede] rimane pieno proprietario di tutti i beni residui.
In definitiva l’accettazione con beneficio d’inventario è sempre una modalità di accettazione che determina l’acquisizione del titolo di erede (Cass. civ. Sez. III, 4 settembre 2012, n. 14821; Cass. civ. Sez. III, 26 luglio 2012, n. 13206; Giudice di pace Palermo, 10 marzo 2014; Trib. Perugia Sez. I, 7 febbraio 2014; Trib. Genova Sez. II, 30 novembre 2012; sul punto anche T.A.R. Sicilia Catania, Sez. III, 9 luglio 2007, n. 1188), ma senza confondere i due patrimoni (quello dell’erede e quello dell’eredità) e tenendoli ben distinti e separati ai soli fini della responsabilità verso i debiti ereditari. Parlando di “debiti ereditari” il codice si riferisce, come detto, a quelli nei confronti dei creditori del defunto ai quali è accordata preferenza di fronte ai creditori dell’erede (art. 490, co. 2, n. 3). I creditori del defunto che, in relazione alla decisione del chiamato di accettare l’eredità con beneficio d’inventario, non potranno soddisfarsi sui beni pervenuti all’erede, rimarranno insoddisfatti, non potendo in alcun modo azionare il loro credito nei confronti dei beni di proprietà dell’erede, cioè dei beni non di provenienza ereditaria.
Va anche precisato che la pronuncia avente ad oggetto un mero accertamento del credito nei confronti degli eredi del debitore, non costituendo titolo esecutivo, non preclude agli stessi successori la possibilità di far valere in eventuale ulteriore giudizio la limitazione della loro responsabilità “intra vires”, derivante dall’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario (Cass. civ. Sez. II, 25 settembre 2013, n. 21942).
Secondo un orientamento – come si dirà, oggi però superato - la circostanza che l’erede abbia accettato l’eredità con beneficio d’inventario, e quindi non possa rispondere ultra vires, non potrebbe essere rilevata d’ufficio, ma, come eccezione in senso stretto, andrebbe tempestivamente dedotta e provata da chi vi abbia interesse (Cass. civ. Sez. III, 26 giugno 2007, n. 14766; Cass. civ. Sez. III, 16 aprile 2013, n. 9158). Tuttavia le Sezioni Unite della Cassazione hanno successivamente aderito alla interpretazione contraria facendo propria la tesi secondo cui l’accettazione con beneficio d’inventario, determinando ex lege la separazione del patrimonio del defunto da quello dell’erede, appartiene al genus delle eccezioni in senso lato, rilevabili d’ufficio; essa dunque non deve essere né specificamente eccepita, né tanto meno allegata dall’interessato, ove risulti documentata in atti, rilevando quale fatto ostativo alla confusione tra patrimonio ereditario e patrimonio dell’erede (Cass. civ. Sez. Unite, 7 maggio 2013, n. 10531 già all’inizio citata). L’eccezione è rilevabile d’ufficio dal giudice anche nei confronti degli altri chiamati all’eredità indipendentemente dalla contumacia, operando l’effetto espansivo dell’art. 510 c.c. fino al momento in cui non vi sia stata accettazione pura e semplice o decadenza dal beneficio.